Descrizione
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Il PIANO NOBILE
Il ciclo di affreschi conservato al piano nobile del palazzo, fu eseguito tra il 1658 ed il 1661 e rappresenta uno degli esempi più significativi della pittura romana della metà del Seicento.
Il ciclo si articola attraverso gli ambienti del primo piano ed interessa essenzialmente le volte, ad esclusione del Salone del Principe in cui l’intera superficie parietale è dipinta a trompe l’oeil. L’iconografia è incentrata sulle allegorie dei quattro Elementi e dei quattro Continenti, programma che, per la elaborata ricchezza di riferimenti, fa supporre l’inlfuenza e l’intervento diretto di un colto committente. Gli stessi temi li ritroviamo diffusamente rappresentati in tutto il Seicento nelle residenze urbane e soprattutto nelle dimore di campagna e possono essere interpretati come una emanazione dell’idea di ‘natura’ allora corrente.
All’esecuzione degli affreschi di Valmontone Camillo chiamò artisti di spicco del panorama romano quali Pier Francesco Mola, Gaspard Dughet, Guglielmo Cortese, Francesco Cozza e Mattia Preti.
Pier Francesco Mola, che aveva già decorato per i Pamphilj il palazzo di Nettuno tra il 1651 ed il 1652, fece pervenire al principe Camillo una “convenzione” in cui si offriva come direttore del cantiere di Valmontone ed in cui proponeva il programma iconografico da rappresentare. Per due delle volte minori e due delle maggiori suggerì come collaboratori Angelo Canini, che gli venne respinto, e Francesco Cozza, mentre si faceva egli stesso carico della restante decorazione per un compenso di mille e trecento scudi. Camillo non sottoscrisse mai la “convenzione” e sulla parola affidò al Mola le pitture della «Sala Maggiore», della volta dell’Aria e di due camerini. Riguardo all’equipe di collaboratori, il principe accettò Cozza e coinvolse inoltre Guglielmo Cortese detto il Borgognone, Giambattista Tassi, Gaspard Dughet ed infine Mattia Preti.
Nel 1655 si diede avvio al cantiere pittorico, ma l’arrivo della peste costrinse gli artisti ad un rientro tempestivo a Roma. Pertanto l’inizio ufficiale dei lavori va posticipato al 1657 con la cessazione dell’epidemia. Alla fine del 1658 il Mola sembra aver concluso le volte dell’America, dell’Africa, quella – ormai perduta – del salone con la raffigurazione dell’Aurora e quattro dei cinque scomparti con cui aveva suddiviso l’originaria volta dell’Aria. Apparentemente insoddisfatto per i compensi percepiti, nel dicembre del 1658 il pittore decise di abbandonare il cantiere di Valmontone lasciando incompiuta la volta dell’Aria. Dopo il vano tentativo di risolvere la controversia tramite la mediazione di monsignor Nini, Maestro di camera di Alessandro VII, il Mola citò in giudizio il principe. A quel punto Camillo, irritato dalla condotta dell’artista, fra il febbraio e il marzo del 1659, incaricò Cozza di distruggere l’affresco dell’Aria e nel 1661 chiamò Mattia Preti per la nuova decorazione della volta. La vicenda con il Mola proseguì con un lungo e gravoso processo che si concluse soltanto nel 1664 a favore, inevitabilmente, del principe.
Dopo l’increscioso episodio della distruzione dell’Aria che avrebbe dovuto rappresentare forse una delle massime espressioni dell’artista vista la complessità del tema iconografico e l’articolazione delle figure in uno spazio armonicamente concepito, le uniche opere superstiti che testimoniano il soggiorno del Mola a Valmontone sono le volte dei camerini dell’America e dell’Africa.
Il Piano Nobile è costituito dalle Stanze dei quattro elementi: Fuoco, Aria, Acqua, Terra;
dai Camerini dei quattro continenti: Asia, Africa, America, Europa; dalla Sala del Principe; dalla Cappella del Padre Eterno e dalla Stanza di Sant’Agnese.
La stanza del fuoco
La sala del Fuoco presenta una soluzione compositiva che vede il suo autore allontanarsi dalla tradizionale ripartizione in scomparti adottata finora.
Come già osservato dalla critica, tale impianto aprì una traccia che molti decoratori del tardo Seicento seguirono con grande profitto dal momento che le cornici architettoniche in finto stucco si erano ormai ridotte a semplice espediente decorativo privo dell’esuberante novità iniziale.
Al di sopra della cornice d’imposta si avvicendano numerose figure impegnate nella tradizionale lavorazione dei metalli. Le uniche cesure spaziali, in assenza di quelle architettoniche, sono rappresentate da gruppi di alberi e massi disposti negli angoli che scandiscono i vari momenti di lavoro nella fucina di Vulcano.
Stanza dell’Aria
L’ultimo artista a lavorare a Valmontone durante un soggiorno brevissimo è Mattia Preti, che esegue la volta dell’Aria in sole sedici giornate di lavoro.
La concezione spaziale adottata per la stanza, riflette un distacco dalle tradizionali ripartizioni, ancora più netto rispetto a quello apportato dal Cozza. Eliminando ogni sovrastruttura architettonica, Preti elabora uno sfondamento illusorio della volta in cui lascia fluire liberamente le figure sottolineando così, in maniera straordinaria, la loro quasi reale presenza nell’aria.
Le numerose immagini che si susseguono in un ritmo incessante e rotatorio, sembrano muoversi secondo schemi casuali in totale autonomia visiva. Al centro è raffigurata Giunone all’interno di una corona dorata sostenuta dalle personificazioni dei quattro Venti.
Le Ninfe dell’aria circondano la ghirlanda. In questo dinamismo quasi vorticoso quattro punti fermi, in sostituzione dei pilastri in finto stucco, sono costituiti dalle allegorie angolari del Tempo-Saturno, della Fama, dell’Amore e della Fortuna. Queste forze sembrano accentuare il carattere evanescente della stanza perché, proprio come l’Aria, sfuggono alla volontà dell’uomo che tenta inutilmente di dominarle. Non a caso le allegorie sono tutte figure dotate di ali. Lungo i lati della volta si snoda l’incessante procedere dei carri astrologici: Aurora, Apollo, Diana e Luna corrispondenti a Mattino, Giorno, Sera e Notte.
Stanza dell’Acqua
Nelle ripartizioni della volta dell’Acqua sono presenti soggetti mitologici attinenti all’elemento, quali Nettuno e Anfitrite che si fronteggiano su due lati opposti della stanza.
Proteo e le Naiadi sono dipinti sulla parete settentrionale. Nell’ultimo riquadro, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, è raffigurato Polifemo mentre spia la sua innamorata Galatea che colloquia con Aci.
Al centro della volta alcuni Amorini versano acqua da una conchiglia e scoccano frecce a simboleggiare la caduta della pioggia.
Stanza della Terra
L’autore dell’’adiacente stanza della Terra è Giambattista Tassi, figura quasi del tutto ignota alla critica. Artista di evidente formazione cortonesca, risulta documentato nelle filze di pagamento di Valmontone con una dicitura che alterna la forma Tassi a quella corrotta di “Tazzi”.
Anche la volta della Terra è suddivisa in cinque riquadri sorretti da una impalcatura poggiante su cariatidi binate che sostengono un clipeo in finto bronzo.
Al centro del soffitto è rappresentata la personificazione della Terra con un globo nella mano sinistra, uno scettro nella destra ed un castello sul capo. La figura siede su un carro trainato da leoni cavalcati da un putto con un ramoscello di ulivo in mano. Il gruppo è annunciato da un angelo e da una figura femminile dal capo stellato disposta in basso.
Nel riquadro a sinistra dell’ingresso, in un contesto di interessante suggestione paesaggistica, troviamo riprodotte le tre Arti: l’Architettura, con una squadra, un foglio ed una colonna scolpita; la Pittura, con tavolozza e pennelli; la Scultura, nelle vesti di una donna alle prese con una lastra di marmo.
Sulla parete d’accesso al Camerino dell’America è raffigurato il Ratto di Proserpina e nel riquadro successivo, sono riconoscibili Bacco e Arianna in una scena di caccia. Sull’ultimo lato della volta è raffigurata una donna alata dal seno scoperto con due fanciulli in braccio, forse a simboleggiare una virtù attinente alla fertilità femminile .
Camerino dell’America
Ispirandosi alla tradizionale iconografia convenzionalmente adottata all’epoca dagli artisti, il Mola dipinge l’America nelle vesti di una donna con un drappo bianco che le lascia scoperta la spalla, adagiata su un masso con un arco nella mano sinistra ed una freccia nella destra.
La testa trafitta che solitamente veniva collocata ai piedi dell’America – come descritto nella Iconologia di Cesare Ripa – è riprodotta nel disegno conservato al Prado e non nel dipinto, dettaglio che evidentemente in corso d’opera l’artista preferì omettere.
Camerino dell’Africa
Anche il continente dell’Africa segue fedelmente la descrizione indicata da Cesare Ripa nella sua Iconologia: «Una donna mora, quasi nuda, haverà li capelli crespi, […] con la destra mano tenga uno scorpione, e con la sinistra un cornucopia pien di spighe di grano; da un lato appresso di lei vi sarà un ferocissimo leone».
Con una lieve variante rispetto al testo, l’Africa del Mola, dalla scura carnagione, è quasi completamente coperta da una veste e nella mano tiene delle spighe, sul lato sinistro una cesta di grano e a destra un leone adagiato in terra.
Camerino dell’Asia
Nello stesso arco di tempo esegue anche la decorazione dell’Allegoria dell’Asia
Il continente è raffigurato come una donna abbigliata con vesti fastose, con un serto di fiori sul capo ed un turibolo nella mano sinistra. Sullo sfondo a sinistra si staglia la sagoma di un cammello mentre a destra è riconoscibile la personificazione di un fiume. Nel cielo rosato un corteo di divinità sfila in trionfo.
Camerino dell’Europa
Può essere senz’altro considerato come l’allegoria più fedele alla descrizione di Ripa. La figura campeggia al centro della volta ed invade lo spazio circostante comprimendo i dettagli figurativi che le fanno da contorno. Nella mano destra sostiene il modello di un tempio a pianta centrale con pronao in facciata. Alla sua destra è ritratto un cavallo e un’armatura. In terra sono posati tavolozza, pennelli ed uno strumento musicale, mentre a sinistra i simboli del comando: lo scettro, la corona, la tiara ed il copricapo cardinalizio. A sinistra una cornucopia ridondante di frutti rigogliosi.
Cappelle di Sant’Agnese e del Padre Eterno
Il salone del principe
Traendo ispirazione dalle pitture realizzate solo l’anno prima nel palazzo del Quirinale, Gaspard Dughet vi ha realizzato un sistema di architetture delineando, lungo le pareti, un colonnato sormontato da una trabeazione oltre il quale si possono scorgere estesi brani paesistici quasi ritratti “dal vero”, sia pur attraverso il filtro di una visione della natura e di una luce idealizzanti. Completa la decorazione dell’ambiente il sistema architettonico della volta. Qui lungo il perimetro dell’imposta corre una sorta di terrazza, delimitata da balaustrate e ringhiere, dalla quale si affacciano gruppi di giovani dame – una delle quali identificata nella figlia del principe Camillo, Flaminia Pamphilj – accompagnate da un cavaliere dal capello piumato. Alle loro spalle un cielo luminoso, appena oscurato da fronde di alberi e sulla sommità della volta nel riquadro centrale lo stemma partito di Camillo Pamphilj e della moglie Olimpia Aldobrandini.
Il “salotto dipinto”, così indicato begli antichi inventari della famiglia Pamphilj, fu dipinto da Dughet in tempi assai brevi tra l’estate e l’autunno dell’anno 1658, 1659, con la collaborazione dell’amico Guillaume Courtois, al quale si devono, come ben precisato dagli studi e da disegni preparatori, anche i ritratti delle “belle” di famiglia.
SEZIONE ARCHEOLOGICA
Il Museo di Palazzo Doria Pamphilj è stato inaugurato nel 2003 grazie ad un accordo stipulato con il Comune di Valmontone, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio e la società Treno Alta Velocità.
I lavori per la costruzione di nuove infrastrutture ferroviarie avevano infatti messo in luce una serie di siti archeologici di notevole importanza. I reperti in essi rinvenuti e i dati raccolti sul campo, risalenti ad un arco cronologico
compreso tra l’età arcaica e quella tardo-imperiale, costituiscono il primo nucleo del MAV.
Il piano terra del museo (ingresso, libreria, tre sale espositive e una sala conferenze) trova posto una sezione introduttiva al territorio e alla viabilità antica e contemporanea ospita una sezione introduttiva al territorio e spazi adeguati ad accogliere oggetti di vecchia e nuova acquisizione, mostre temporanee, eventi culturali ed iniziative civiche.
Il primo livello è dedicato all’illustrazione del territorio con importante suddivisione ed accenni alla Valle Latina e Valle di S. Ilario.
Il secondo livello (quattro sale espositive) è invece dedicato alla presentazione analitica dei siti archeologici rinvenuti e all’illustrazione di temi generali ad essi connessi: il villaggio di carbonai di Colle Carbone, l’insediamento produttivo e la necropoli di Colle dei Lepri la mansio, le terme e la fornace di Colle Pelliccione.
Nella Quarta sala detta “archeologia ad alta velocità” troviamo un plastico illustrativo del territorio attraversato dalla linea e comprendente i comuni di Valmontone, Artena, Labico e Colleferro.
La prima sala del piano superiore è dedicata a Colle Carbone, colle valmontonese denominato dal villaggio dei carbonai documentato dai ritrovamenti risalente attorno ai secoli IV e II a.C.
La sala successiva dedicata al sito di Colle dei Lepri dove sono state studiate numerose stratificazioni murarie che hanno rivelato una continuità d’uso che va dal IV secolo a.C. al IV d.C. Tra i corredi funerari rinvenuti nelle sei sepolture, significativo è il così detto “pettorale della fanciulla di Valmontone”, ornamento in cuoio traforato decorato con lamine di rame dorato e lamine d’oro. La terza sala illustra il sito di Colle Pelliccione, punto in cui, secondo le cartografie antiche, si incontravano la via Latina e la via Labicana; archeologicamente si delineano due principali fasi costruttive che lo descrivono come luogo di sosta e ristoro dotato di terme.
L’ultima sala è completamente dedicata alla manifattura di laterizi prodotti dalla fornace rinvenuta nel 1996 a Colle Pelliccione e collocabile tra il I secolo a.C. e il II d.C.